CHIARA MOLETTA - PUBLIC SPEAKING
  • HOME
  • CHI SONO
  • PUBLIC SPEAKING
    • PADOVA
    • TREVISO
    • BASSANO
    • VICENZA
  • CORSI AZIENDALI
  • COMUNICAZIONE ASSERTIVA
    • CORSI ASSERTIVITA' TREVISO
    • CORSI ASSERTIVITA' PADOVA
    • CORSI ASSERTIVITA' BASSANO
  • CORSI INDIVIDUALI
    • COMUNICAZIONE ASSERTIVA
    • PUBLIC SPEAKING
    • FOCUS OBIETTIVI
  • CONTATTI


speaker si diventa

Come gestire una critica in modo efficace

6/8/2018

Comments

 
Gestire critiche public speaking
Ammettiamolo… a nessuno piace essere criticato. Per quanto una critica possa essere fondata e costruttiva, oltre che utile alla nostra crescita umana e professionale, tutti noi, potendo scegliere, preferiremmo ricevere una pacca sulla spalla piuttosto che una proverbiale “botta sui denti”.
​
Il problema è che spesso ce ne dimentichiamo e, non appena qualcuno ce ne fornisce l’opportunità, sfoderiamo gli artigli e ci trasformiamo in critici degni di un’ospitata nel peggior salotto televisivo italiano. Ecco perché difficilmente mi sbaglierò se affermo che probabilmente anche tu, caro lettore, nella vita sei stato bersaglio di critiche più o meno costruttive e, in più di un’occasione, ti sei poi trovato a rimuginare sulla tua reazione iniziale e su quanto avresti voluto comportarti diversamente.

Se ti sei riconosciuto nella situazione che ho appena descritto rallegrati: sei capitato nel post giusto. Tra poche righe, infatti, ti darò una serie di consigli che potrai mettere in pratica per uscire sereno e vincente dal confronto, la prossima volta che ti troverai in una situazione… critica!
Prima di entrare nel cuore dell’argomento devo tuttavia premettere che esistono due diverse tipologie di critica che potresti sentirti rivolgere e che ti spiegherò come affrontare: la prima è una critica espressa contro le tue idee o le tue azioni (ad esempio “non sono d’accordo”, “secondo me sbagli”) mentre la seconda, decisamente più difficile da gestire, consiste in un giudizio negativo rivolto alla tua persona (es. “sei un incapace”, “sei uno sciocco”).
Ma procediamo con ordine…

Come gestire una critica rivolta alle tue idee o alle tue azioni
Ripensa per un attimo all'ultima volta che qualcuno ha criticato un tuo parere o qualcosa che hai fatto: come hai reagito? Con ogni probabilità avrai tentato di difenderti, sparando a raffica una serie di argomenti a sostegno del tuo punto di vista. Si tratta di una reazione del tutto naturale ma, sfortunatamente, di scarsissima efficacia e potenzialmente rischiosa. Spesso, infatti, tra le argomentazioni che adduci in tua difesa, si nascondono insospettabili spunti per ulteriori critiche da parte dei tuoi interlocutori… provare per credere.

Che cosa fare allora? In realtà la soluzione è così semplice che potrebbe addirittura sembrarti banale (almeno finché non la sperimenterai!)… Basta porre una domanda amatissima dai bambini di quattro anni di tutto il mondo: “PERCHÉ?”.
E te lo chiedo io per prima: perché, dopo aver esposto un’idea o un progetto cui magari lavori da tempo, dovresti permettere a qualcuno di criticarti senza esplicitarne il motivo? Non pensi che sarebbe meglio costringere il critico a giustificare la propria opinione, prima di salire sul banco degli imputati a difendere il tuo operato? Tanto più che in questo modo otterrai un duplice risultato: innanzitutto metterai subito con le spalle al muro i cosiddetti “bastian contrario”, insopportabili e onnipresenti personaggi che sembrano avere come missione nella vita criticare il prossimo, solitamente senza validi motivi oltre al piacere che provano nel contrariare un altro essere umano. Di fronte al tuo spiazzante “perché?” queste persone non sapranno cosa rispondere (dato che “per principio” non è una motivazione che possano far valere) e saranno costrette ad un imbarazzante dietrofront.
L’altro risultato positivo che otterrai con la “tecnica del perché” sarà di doverti difendere (nel caso in cui il tuo interlocutore porti elementi concreti a sostegno del proprio punto di vista) solo da critiche ben precise. Va da sé che la cosa avverrà in maniera molto più semplice ed efficace se, prima di affrontare un potenziale detrattore, ti sarai messo per un attimo nei suoi panni e avrai pensato a tutte le possibili obiezioni che potrebbe sollevare, preparandoti a confutarle con argomenti convincenti.

Ti assicuro che la strategia che ti ho suggerito ti permetterà di cavartela nella maggior parte dei casi, ma ho il dovere di avvertirti che, per quanto ti prepari a ribattere e controbattere, esiterà sempre l’eventualità che tu possa perdere un confronto. Dopotutto sei un essere umano e, come tale, sei destinato a fare degli sbagli. Se qualcuno te li farà notare, incassa il colpo, ringrazia e ricorda: la possibilità di migliorare passa dalla consapevolezza delle proprie debolezze.
 
Come gestire una critica rivolta alla tua persona
Passiamo ora al peggior tipo di critica che una persona possa ricevere: un giudizio negativo su di sé. A questo punto voglio spezzare pubblicamente una lancia a favore di chi, di fronte a un’affermazione del tipo “sei un povero incapace” dovesse rispondere con un piccato “e chi saresti tu per giudicarmi, ***?” (al posto degli asterischi, inserire turpiloquio a piacimento).
Ritengo sia infatti nostro diritto pretendere che le persone si limitino a criticare le nostre azioni, lasciando stare ogni forma di giudizio sulla nostra persona nella sua interezza. Devo però aggiungere che se, come inevitabilmente accadrà, qualcuno non dovesse rispettare questo nostro diritto, una scazzottata alla Fight Club per difendere la nostra dignità lesa non è sempre la soluzione migliore. Potremmo anche uscirne vincenti ma, una volta che avremo pestato il nostro collega, capufficio o vicino di casa, avremmo forse ottenuto qualche risultato positivo (a parte la soddisfazione momentanea di vederlo a terra sanguinante)? Sicuramente no, allora meglio tentare la via diplomatica che, credimi, è infinitamente più semplice e non necessariamente meno soddisfacente.

In cosa consiste questa via? Ancora una volta, in un’unica, semplice domanda: “PERCHÉ?”. Mettiamo che qualcuno ti dia, come abbiamo ipotizzato sopra, del “povero incapace”. La prossima volta perché, invece di scoppiare in lacrime, iniziare con una sfilza di giustificazioni o tirargli un pugno, non provi a chiedergli serenamente “perché pensi che sia un povero incapace?”. Il tuo interlocutore rimarrà molto probabilmente spiazzato dalla compostezza e dalla pacatezza della tua reazione e sarà costretto a rimettere in moto l’emisfero sinistro del cervello (quello in cui ha sede il pensiero razionale) per trovare una motivazione sensata alla propria critica. Insomma, ancora una volta sarà lui a doversi giustificare, non tu, e già questo mi pare un bel risultato. Poi, una volta che il tuo interlocutore avrà espresso le motivazioni che l’hanno spinto a criticarti in modo così duro, potrai passare a difendere il tuo operato (se hai degli argomenti validi) o incassare il colpo e cercare una soluzione (se effettivamente sei in torto). Anche in quest’ultimo caso sarai comunque uscito vincente dal confronto, perché sarai riuscito a riportare la critica sul piano delle idee, spostandola dalla tua persona.
​
Sorrido mentre scrivo questo post, perché so già che qualcuno starà pensando che il suo capo/vicino/marito/moglie/allenatore di pallacanestro non è tipo da rispondere con garbo alle richieste di spiegazioni. No! L’individuo in questione, di fronte a una reazione da monaco zen, diventerebbe ancora più offensivo, specialmente in presenza di un po’ di pubblico davanti al quale dare spettacolo.
Lo so, purtroppo esistono anche persone con cui è impossibile avviare un confronto costruttivo o anche solo civile. L’importante, in questo caso, è non cedere all’impulso di abbassarsi al loro livello (ricambiando aggressività e insulti) o a quello di ignorarli (perché diventerebbero ancora più bellicosi). Meglio insistere nel tentativo di riportare la discussione sul piano razionale: l’aggressore verbale prima o poi si calmerà o, stanco di vedere che non raccogliamo la sfida, si allontanerà borbottando con la coda tra le gambe. Chiunque abbia assistito allo spettacolo non avrà dubbi su chi sia uscito vincente dal (mancato) confronto: noi, gli SSC, Superiorissimi Signori della Calma.

Hai trovato questo post utile? Fammelo sapere con un like o condividilo con i tuoi amici! Se invece vuoi conoscere altre strategie per gestire brillantemente una critica, ricorda che potrai scoprirle partecipando a uno dei miei corsi intensivi di public speaking!

Comments

L'ABC di un buon discorso

25/7/2017

Comments

 
Foto
​Hai mai sentito una persona dire che si comporta in un certo modo “per deformazione professionale”? Io sì, spesso. Conosco un fiorista che, mentre sorseggia un aperitivo al bar, guarda se la piantina grassa sul bancone ha abbastanza acqua, una dottoressa che si lava le mani fino al gomito per un quarto d’ora prima di tagliare un pomodoro e una bibliotecaria che prepara lo zaino del figlio inserendo i libri in ordine alfabetico.

Frequento gente strana? Può darsi, ma perché ti racconto questo? Perché giusto ieri mi sono chiesta quale fosse la mia deformazione professionale. Mi sono fatta un esamino di coscienza e poi ho chiamato un paio di colleghi per un piccolo confronto. Il verdetto è stato il seguente: noi docenti di public speaking  abbiamo la malsana abitudine di giocare con le parole.
Direi che come deformazione professionale ci sta tutta, tanto che ho deciso di celebrarla con un post dedicato ad uno dei miei giochi di parole preferiti: l’ABC di un buon discorso.
Di cosa si tratta? Semplicemente di un trucchetto per memorizzare le tre caratteristiche fondamentali di un discorso ben fatto, riassumibili in tre parole che iniziano per A, B e C.
Sei curioso di conoscere queste tre parole? Ti accontento subito…

La A sta per ACCURATEZZA
I miei corsisti sanno che uno dei miei mantra è: “anche l’improvvisazione richiede grande preparazione” (nota la rima, prego). Il segreto per una figuraccia assicurata è mostrarsi imprecisi, impreparati, approssimativi nel fornire informazioni o, peggio ancora, bugiardi.
Bugiardi? Sì, bugiardi, perché se andiamo a fare un discorso e non siamo preparati, cosa facciamo quando qualcuno tra il pubblico ci fa una domanda cui non sappiamo rispondere? Nella maggior parte dei casi buttiamo lì una risposta a caso sperando di non essere smentiti, perché pochi di noi hanno il coraggio di fare la cosa giusta e ammettere: “mi dispiace, non sono in grado di risponderti”. Il guaio è che, specialmente con la tecnologia disponibile di questi tempi, l’accuratezza di un’informazione è spesso verificabile in pochi istanti, il tempo di un paio di clic sullo smartphone. Quello che invece richiederà secoli sarà levare l’onta della figuraccia dalla reputazione dello speaker, perciò ricorda: il contenuto del tuo discorso va preparato accuratamente, così come il materiale che lo accompagna (slide e altri supporti audiovisivi) e tutto il resto della tua performance.

Ho capito… devo essere accurato… e la lettera B?

La B sta per BREVITÀ

Un buon discorso deve durare poco, poiché sappiamo che dopo una ventina di minuti anche l’attenzione di un cervello ben allenato tende a calare. Non a caso i TED Talks, le conferenze che ospitano alcuni dei migliori oratori al mondo, prevedono interventi della durata massima di 18 minuti (e credimi, parliamo di gente che ascolteresti parlare per ore anche se stesse leggendo l’elenco del telefono).
Attenzione però: questo non significa che i discorsi di un’ora andrebbero aboliti, ma semplicemente che dovremmo sforzarci di essere precisi ed efficaci nel dire solo l’essenziale. Del resto, come disse molto meglio di me Antoine de Saint-Exupéry: “la perfezione non si ottiene quando non c’è più nulla da aggiungere, bensì quando non c’è più nulla da togliere”.

Ed è così che, per rispettare la regola della brevità, vengo subito al terzo e ultimo punto, la lettera C che sta per CHIAREZZA.
Essere brevi e accurati non basta a renderci dei bravi comunicatori, se non ci preoccupiamo di formulare il nostro discorso in maniera chiara, seguendo un filo logico ben preciso ed utilizzando un linguaggio semplice, spoglio di tecnicismi inutili.
Pensaci: quante volte ti sei imbattuto in professionisti che, nel tentativo di spiegarti qualcosa, usavano termini per te incomprensibili? Penso a certi medici, avvocati, commercialisti, informatici… L’elenco potrebbe essere lungo, perché ogni settore ha la sua terminologia specifica, una sorta di “linguaggio nel linguaggio” cui è difficile rinunciare, perché conoscerlo ci fa sentire preparati e parte di qualcosa. Tuttavia, se il nostro interlocutore non è un addetto ai lavori, i termini settoriali rischiano di diventare un grosso ostacolo alla riuscita della comunicazione. Questo perché ogni volta che il nostro cervello registra un termine che non conosce si blocca nel tentativo di dargli un significato, finendo  per distrarsi. Perciò ricorda: se vuoi mantenere salda l’attenzione del pubblico, il segreto è  parlare in modo chiaro, semplice e lineare.

Ora  potrei continuare con le altre 18 lettere dell’alfabeto e iniziare a parlarti del DEF di un buon discorso ma, in ossequio al principio di brevità, mi limiterò a rivolgerti un invito: la prossima volta che farai un intervento in pubblico tieni bene a mente l’ABC e mettilo in pratica!

Poi, se ti va, lascia un commento qui sotto per farmi sapere com’è andata o vieni a trovarmi nel mio studio per raccontarmi la tua esperienza.

A presto!
Chiara

Comments

Intelligenza Emotiva & Comunicazione Efficace

14/12/2016

Comments

 
Foto
Cosa ci rende dei bravi comunicatori? La predisposizione naturale? Lo studio? La cultura? La preparazione? L’allenamento?

Beh certo, tutte queste cose aiutano e insieme possono favorire l’efficacia di un processo di comunicazione, ma nessuno di questi elementi, da solo, può essere considerato come la chiave di svolta per trasformarci in eccellenti comunicatori. Questo ruolo spetta infatti ad un’altra abilità, tanto rara quanto preziosa: l’intelligenza emotiva.

Se ti stai chiedendo di cosa si tratta, te lo spiego subito: l’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere pensieri, emozioni e comportamenti propri ed altrui e di utilizzare questa consapevolezza per migliorare il proprio rapporto con se stessi e con gli altri.

Il bello dell’intelligenza emotiva è che le sue quattro componenti sono delle abilità che si possono apprendere e migliorare. A differenza del quoziente intellettivo, infatti,  il QE (quoziente emotivo) non è determinato alla nascita, ma può essere aumentato nel corso della vita. Questo significa anche che non è mai troppo tardi per diventare dei bravi comunicatori e che nessuno, potenzialmente, è escluso dalla possibilità di riuscirci.

A questo punto vorrai sapere quali sono queste quattro competenze che possono aiutarti ad aumentare il tuo quoziente emotivo…

Le prime due, note come abilità “individuali” sono autoconsapevolezza ed autocontrollo. Con il termine autoconsapevolezza, mi riferisco alla capacità di riconoscere e comprendere i nostri pensieri, le nostre emozioni e i comportamenti che ne derivano. Un bravo comunicatore dovrebbe riuscire a capire quali sono le emozioni che prova quando interagisce con il suo pubblico/interlocutore e cosa pensa prima, dopo e durante il suo discorso, ma soprattutto dovrebbe capire le origini di queste emozioni e di questi pensieri. Solo una volta che avrà acquisito consapevolezza delle ragioni che stanno dietro il suo modo di pensare, sentire ed agire, uno speaker potrà infatti assumerne il controllo e, da qui, sviluppare la seconda grande abilità QE che è, per l’appunto, l’autocontrollo.

Il compito non è facile, ma ti consoli sapere che, una volta imparato come gestire te stesso, avrai già percorso una buona metà della strada che ti porterà a diventare un comunicatore di successo. Prima di poterci arrivare, però, dovrai sviluppare altre due abilità QE: la coscienza sociale e la gestione dei rapporti.

La coscienza sociale, altrimenti nota come “empatia”, è la capacità di riconoscere e comprendere sentimenti, emozioni e comportamenti altrui. È la controparte “sociale” dell’autoconsapevolezza, la capacità di comprendere a fondo l’altro. Solo dopo aver sviluppato questa abilità, sarai pronto a lavorare sulla quarta e ultima competenza emotiva: la gestione dei rapporti. Gestire un rapporto in modo efficace, richiede infatti che i soggetti del rapporto siano in grado di comprendere e controllare se stessi e di comprendere (senza voler controllare) gli altri.

Per capire l’importanza di tutto ciò, ti basti riflettere sull’origine etimologica del termine comunicazione, che si potrebbe tradurre con “agire in comune, agire insieme”. La comunicazione, infatti, non è un processo unidirezionale in cui qualcuno dice qualcosa a qualcun altro e fine della storia. La comunicazione è un processo bidirezionale, al centro del quale si trova uno scambio tra esseri umani che, per potersi capire tra di loro, devono per prima cosa conoscere se stessi e, in seconda istanza, sforzarsi di comprendere chi sia la persona cui stanno cercando di inviare un messaggio. Solo così chi parla potrà capire come rivolgersi al suo interlocutore ed avere la certezza di essere compreso. Non esiste in fatti un modello di comunicazione standard efficace per tutti, il modello va cucito su misura per ogni singolo destinatario del nostro messaggio.

Difficile? Abbastanza. Impossibile? No di certo: basta sviluppare al meglio le quattro abilità QE di cui ti ho appena parlato. Vuoi scoprire come? Beh… è una fortuna che su questo sito siano presenti i miei contatti… ;-)

Comments

L'importanza di saper ascoltare

30/7/2016

Comments

 
L'importanza di ascoltare
​Chi si iscrive a un corso di public speaking spesso parte dal presupposto di dover migliorare il proprio modo di parlare in pubblico. In realtà, la chiave del successo di un bravo oratore sta in due capacità apparentemente opposte: la capacità di osservare e quella di ascoltare.
​

In uno dei miei primi post, ho richiamato alla tua attenzione due fatti fondamentali:  come parlare e comunicare siano due concetti molto diversi e come la comunicazione, per essere efficace, debba prevedere una forma di “risposta” (chiamata in gergo feedback)da parte dell’interlocutore.

Ora, se mentre parliamo non osserviamo il nostro pubblico, perderemo tutta la parte non verbale del feedback, il che è uno degli errori più gravi che uno speaker possa commettere.
Abbiamo appreso in altri post quanto il linguaggio non verbale, ossia il linguaggio del corpo, sia il più veritiero e affidabile. Questo, poiché è molto più facile mentire con le parole che non con lo sguardo, i gesti, la mimica facciale e la postura.
Ecco perché, se ci concentriamo interamente su noi stessi e non prestiamo attenzione ai segnali che ci arrivano dal pubblico, non sapremo mai se stiamo andando nella direzione giusta, e cioè se il pubblico ci sta prestando attenzione e se è d’accordo o meno con quanto stiamo dicendo.

In realtà ho detto una piccola bugia: non è vero che non sapremo mai cosa il pubblico pensa di noi e delle nostre parole, anzi, lo scopriremo eccome! Quando? Non appena qualcuno tra il pubblico ci interromperà bruscamente o, nei casi più fortunati, quando qualcuno alzerà la mano per farci una domanda.
Se ci è andata bene, e il pubblico ha condiviso quanto gli abbiamo detto, forse riusciremo a cavarcela, ma se dovessero arrivare delle critiche o delle obiezioni, potremmo trovarci seriamente in difficoltà, perché non siamo stati in grado di cogliere l’avvertimento che ci stava giungendo attraverso il linguaggio non verbale del pubblico.

Ora, la cosa più sbagliata che potremmo fare in un caso simile sarebbe applicare un ascolto selettivo, e cioè rispondere solo a domande e commenti neutrali o positivi, fingendo di non sentire, o ignorando apertamente tutte le critiche. Il pubblico sicuramente se ne risentirebbe, e noi avremmo così gettato un’ombra negativa su tutto il nostro discorso.

Un membro del pubblico che è stato lì ad ascoltarci per mezzora, o magari per ore, ha tutto il diritto di avere un piccolo spazio per chiedere dei chiarimenti o comunicare le proprie impressioni. Se questo spazio non gli viene concesso, se lo procurerà da solo, iniziando a parlare con il vicino di sedia per manifestargli i propri dubbi o il proprio disappunto, e finendo così, inevitabilmente, per distogliere l’attenzione dallo speaker.
Se anche decidesse di tenere i propri dubbi per sé, un pubblico che non ha avuto l’occasione di esprimersi se ne andrà comunque soddisfatto solo a metà, e noi non dobbiamo permetterlo.

Una volta chiarito questo punto, tuttavia, c’è ancora qualche errore da segnalare e che non dobbiamo commettere quando finalmente ci decidiamo a cedere la parola ai nostri interlocutori.
Il primo è quello di dedicare loro un ascolto presuntuoso. Molti oratori, infatti, hanno la pessima abitudine di ascoltare solo la metà di quanto si sta dicendo loro, presumendo erroneamente di aver già capito dove l’interlocutore vuole andare a parare. E cosa fanno questi furbacchioni? Interrompono l’interlocutore prima che abbia potuto terminare l’intervento, fornendo la risposta a una domanda che l’altro non ha ancora formulato e che, probabilmente, non voleva nemmeno formulare.

Un atteggiamento di questo tipo denota una grave mancanza di rispetto nei confronti del pubblico. Tuttavia, bisogna ammettere che in alcuni casi questo ascolto “scorretto” dell’oratore è favorito dall’incapacità del suo interlocutore di arrivare al nocciolo della questione. Se è questo il caso, lo speaker deve resistere alla tentazione di zittire l’altro ed aiutarlo invece a formulare la propria richiesta in modo più chiaro e diretto, attraverso delle semplici domande volte a chiarire il punto centrale dell’intervento. In altre parole, lo speaker deve aiutare il pubblico ad esprimere le proprie idee, non desumere di conoscerle già.

Il secondo grave errore che può commettere un oratore, è quello di riservare ai propri interlocutori un ascolto rituale, e cioè fingere di ascoltarli, magari facendo piccoli cenni di assenso con il capo o ripetendo dei brevi “sì, sì”, quando in realtà sta pensando ad altro. Al momento di controbattere, un oratore distratto non potrà far altro che limitarsi a ringraziare chi ha parlato per il suo intervento, dimostrando così di non avergli prestato ascolto. Ma come possiamo sperare che gli altri ci diano retta se siamo noi i primi a non fare attenzione quando qualcuno ci parla?

Un bravo speaker, dovrebbe considerare il dialogo con il pubblico come una parte integrante e fondamentale del proprio discorso, tanto più che, attraverso un ascolto attivo, attento e partecipe, l’oratore sarà in grado di gestire qualunque intervento della platea senza perdere, ma anzi acquistando, autorevolezza.
È meglio ammettere di non essere stati sufficientemente chiari e illustrare nuovamente un concetto, piuttosto che lasciare che il pubblico se ne vada portando con sé dei dubbi. È meglio chiedere il perché di una critica ed accoglierla (se costruttiva) piuttosto che ignorarla platealmente. È meglio ammettere di non saper rispondere a una domanda, e promettere di informarci al più presto per poter rimediare, piuttosto che fingere di non aver sentito o, peggio ancora, rispondere dicendo la prima fesseria che ci viene in mente.

Uno speaker competente non deve temere o evitare il confronto con il pubblico, perché il pubblico non è composto da esseri inferiori che non meritano la sua attenzione, né da esseri superiori da temere e rifuggire. I membri del pubblico sono suoi pari, sono nostri pari:  persone cui possiamo insegnare qualcosa e da cui non finiremo mai di imparare.

Sei d’accordo con quanto affermato in questo post? Pensi anche tu che sia importante ascoltare ed essere ascoltati? Sei mai stato tentato di zittire qualcuno o ti è mai capitato di essere interrotto bruscamente da qualche Signor So-tutto-io? Se ti va, raccontami la tua esperienza lasciando un commento. 
Comments

Speaker si diventa

9/10/2015

Comments

 
Moletta Corsi diventare esperti public speaking
Bravi oratori non si nasce, si diventa. Certo, esistono persone cui riesce spontaneo parlare in pubblico con scioltezza ed efficacia, così come esistono persone portate per lo studio della matematica o delle lingue straniere. Tuttavia, dobbiamo sempre tener presente che questa predisposizione è un vantaggio, una marcia in più, ma non una caratteristica senza la quale non c’è speranza di diventare bravi speaker. Anzi, in alcuni casi, è vero proprio il contrario.

Spesso, infatti, chi ritiene di essere un “oratore nato” non si preoccupa di studiare le strategie e le tecniche che fanno di un intervento in pubblico un esempio di comunicazione efficace, e punta tutto sul suo “talento naturale”. Ora, se questo talento è realmente presente, lo speaker potrà ottenere dei buoni risultati nelle sue performance, ma difficilmente potrà eccellere, perché il successo di un bravo oratore dipende principalmente da un mix di preparazione tecnica e allenamento costante, e non dalla semplice predisposizione. In questo senso, un bravo speaker è come uno sportivo, una sorta di atleta della comunicazione che ha bisogno di esercitarsi costantemente, meglio se sotto la supervisione di un bravo coach.

Nel post precedente, ti ho dato 10 consigli fondamentali per superare la paura di parlare in pubblico perché, rimanendo all’interno della metafora sportiva, un atleta che sta per correre i 100 metri non può certo scendere in pista con le gambe che tremano! Ma ricorda: una volta superata la paura del pubblico, ti aspettano ancora alcune tappe prima di giungere a termine del tuo percorso lungo le vie del public speaking.

Per prima cosa, dovrai imparare a distinguere tra due concetti fondamentali: parlare e comunicare. Poi, quando avrai capito che cosa significa realmente comunicare, dovrai capire come riconoscere ed utilizzare gli strumenti, le strategie e le tecniche di comunicazione fondamentali per esprimersi in pubblico con sicurezza e competenza. Infine ti dovrai esercitare, esercitare ed esercitare ancora, finché tutto ciò che hai appreso non diventerà parte di te.

Solo allora possiederai tutti gli strumenti necessari per diventare uno speaker preparato e carismatico, in grado di conquistare l’interesse e la fiducia del pubblico. Ti sembra troppo difficile? Fidati, non lo è, perché tutte queste abilità sono già dentro di te, devi solo capire come riconoscerle e utilizzarle in modo più consapevole ed efficace. E credimi, con un piccolo sforzo potrai ottenere risultati straordinari!

Se vuoi saperne di più, leggi il mio prossimo post e, quando sarai pronto a metterti in gioco, clicca sulla pagina “corsi” e scegli il percorso di formazione più adatto a te. Non c’è momento migliore di questo per diventare uno speaker di successo e dare una svolta positiva alla tua vita relazionale e professionale!

Comments

    Autore

    Chiara Moletta, classe 1985, dottore magistrale in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali e specialista in tecniche e strategie di comunicazione efficace e assertiva applicate al Public Speaking.

    TESTIMONIANZE
    View my profile on LinkedIn

    Archives

    Novembre 2019
    Maggio 2019
    Agosto 2018
    Luglio 2017
    Dicembre 2016
    Luglio 2016
    Giugno 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015

    Categorie

    Tutti
    Comadamenti E Peccati Capitali Del Public Speaking
    Come Diventare Oratori Efficaci
    Come Riconoscere Una Bugia Attraverso Il Linguaggio Del Corpo
    Donne E Public Speaking
    I Livelli Del Linguaggio
    Superare La Paura Del Pubblico

    Feed RSS

    Immagine


    Privacy

    ​Copyright © 2015-2018  Chiara Moletta 
    Tutti i diritti riservati

Home

Public Speaking

Corsi Individuali

Corsi Aziendali

Info & Contatti

Copyright © 2015-2025 | Chiara Moletta | Tutti i diritti riservati
  • HOME
  • CHI SONO
  • PUBLIC SPEAKING
    • PADOVA
    • TREVISO
    • BASSANO
    • VICENZA
  • CORSI AZIENDALI
  • COMUNICAZIONE ASSERTIVA
    • CORSI ASSERTIVITA' TREVISO
    • CORSI ASSERTIVITA' PADOVA
    • CORSI ASSERTIVITA' BASSANO
  • CORSI INDIVIDUALI
    • COMUNICAZIONE ASSERTIVA
    • PUBLIC SPEAKING
    • FOCUS OBIETTIVI
  • CONTATTI