Chiara Moletta - Public Speaking
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Come utilizzare la voce in modo efficace quando parli in pubblico

2/6/2016

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Come utilizzare la voce in modo efficace per parlare in pubblico
La comunicazione paraverbale, e cioè il modo in cui utilizziamo la voce, contribuisce a dare efficacia al nostro messaggio ancor più delle parole che utilizziamo. Ecco perché, se vuoi diventare un bravo speaker, devi assolutamente imparare a modulare la tua voce in modo corretto, tenendo conto di questi elementi:

Timbro
Detto anche “colore della voce”, il timbro è unico per ogni essere umano e dipende dalle caratteristiche delle corde vocali e delle cavità sopralaringali, nonché dalla tonicità muscolare di lingua, velo e diaframma. In altre parole il timbro vocale è lo strumento di cui siamo dotati e produce un suono diverso (e difficile da modificare) per ognuno di noi.
Alcune voci sono “flauti”, altre “pianoforti” e, se e la tua voce è un pianoforte, per quanto ti sforzi, difficilmente potrai farne uscire il suono di un flauto. Il mio consiglio? Accontentati dello strumento che hai e impara a suonarlo al meglio! Come? Attraverso un utilizzo corretto di respirazione, tono, volume, ritmo e pause.

Respirazione
La respirazione corretta, quella che dà maggiore profondità e pienezza alla nostra voce, proviene dalla parte bassa dell’addome, due o tre centimetri sotto l’ombelico. Allenati perciò a parlare adottando una respirazione basso-addominale: così facendo sforzerai meno la gola ed otterrai una voce più piena ed un timbro vocale più basso.
È vero: poche righe più in alto ti ho invitato a non cercare di modificare il tuo timbro vocale. Questo perché, impegnando tutta la tua energia nel controllare la voce in modo artificioso, rischieresti di sottrarla ad elementi di maggior rilevanza all’interno del tuo discorso. Tuttavia, gli studi dimostrano che i timbri più gradevoli all’ascolto sono quelli bassi, pieni, “caldi” perciò, se puoi, sforzati di usare la tonalità più bassa del tuo timbro di voce quando parli in pubblico, aiutandoti con una respirazione corretta.

Tono
Spesso confuso con il volume, il tono di voce si riferisce al modo in cui moduliamo la voce, nel parlare o nel leggere, in rapporto con il contenuto logico delle parole che pronunciamo e con i sentimenti e le intenzioni che vogliamo esprimere attraverso tali parole.
Ovviamente, il nostro tono di voce deve essere coerente con ciò che stiamo dicendo, o il nostro messaggio perderà efficacia e credibilità. Immagina che qualcuno ti dica che è felice con un tono di voce triste: gli crederesti? Penso proprio di no, ed è per questo che, a seconda dei casi, dovrai rafforzare il tuo messaggio “verbale” adottando un tono triste, allegro, arrabbiato, aggressivo, divertito, entusiasta e comunque sempre coerente con le tue parole. Quando ti cali nel ruolo di speaker, ti consiglio di esprimerti con un tono di voce sicuro ed empatico, che trasmetta sincerità, entusiasmo, interesse e convinzione.

Volume
Il volume della voce è la sua frequenza, che può andare dal sussurro all’urlo acuto. Un bravo speaker dovrebbe parlare a un volume di voce sufficientemente alto da farsi sentire senza sforzo da tutti i presenti. Quando si rivolge a un gruppo di venti o trenta persone, non dovrebbe neppure avere bisogno del supporto di un microfono, purché la sua voce non provenga dalla gola (nel qual caso si stancherà presto).
Il microfono infatti ha due difetti: falsa il suono della voce, nel caso in cui lo speaker non lo mantenga alla giusta distanza dalla propria bocca e dalle casse di risonanza, e, se è un microfono “gelato”, terrà una mano dello speaker costantemente occupata, impedendogli una gestualità corretta.
Di fronte ad un pubblico numeroso, tuttavia, è sempre meglio poter contare sul supporto di un microfono che consenta al pubblico di sentire la voce dello speaker senza difficoltà e allo speaker di parlare a lungo, senza sforzare troppo la voce. Le soluzioni migliori? Un microfono “ad archetto” o un microfono “a spillo”!
Se poi non sei certo di utilizzare un volume di voce corretto, chiedi a un amico di mettersi in fondo alla sala in cui farai il tuo intervento e varia il volume della voce fino a che lui non riuscirà a sentirti bene. Quando avrai trovato il volume “di base”, ricordati che abbassando leggermente la voce aumenterai il coinvolgimento emotivo del pubblico, mentre alzando il volume creerai pathos ed aumenterai anche il coinvolgimento “fisico” di chi ti ascolta. Fa attenzione, però, a servirti di questi trucchi con parsimonia, per conservarne l’efficacia.

Ritmo
Il ritmo di voce è dato dalla velocità con cui pronunciamo le parole, dalle escursioni tonali e dalle pause. Un bravo speaker non dovrebbe parlare in modo troppo lento e monotono (a meno che non stia presiedendo una seduta di ipnosi o training autogeno) ma dovrebbe variare tono, ritmo e volume di voce al fine di mantenere viva l’attenzione del pubblico.
Alcuni speaker professionisti parlano addirittura secondo un ritmo prestabilito ma, se sei un oratore alle prime armi, ti consiglio di dare incisività al tuo discorso “calcando” le parole più significative, quelle che sottolineeresti o scriveresti in maiuscolo se il tuo discorso fosse scritto.
Quando invece il tuo pubblico si riduce ad un singolo interlocutore, le tue variazioni di tono, ritmo e volume (dette anche escursioni tonali) devono rispecchiare quelle della persona con cui stai parlando. Noi, infatti, tendiamo a preferire voci simili alla nostra. Una persona che parla molto in fretta, ad esempio, tende a mal sopportare le persone che parlano lentamente ed è tentata di concluderne parole o frasi per riportare la conversazione ad un ritmo più vicino al proprio. Lo stesso accade con le persone che tendono a parlare a voce bassa e si trovano ad interagire con persone che hanno la tendenza ad urlare: la comunicazione risulta fastidiosa.
Le persone, quindi, più o meno inconsciamente, scelgono i loro interlocutori non solo sulla base di ciò che dicono, ma anche e soprattutto per come lo dicono. Hai mai notato che, all’interno di un gruppo di amici, i componenti tendono a parlare in modo simile? Sì? Allora sappi che, per aumentare l’efficacia del tuo messaggio, devi sforzarti di ricreare questo meccanismo “artificialmente”, ricorrendo ad una tecnica nota in PNL con il nome di mirroring (rispecchiamento).
Ricorda comunque che, in generale, un ritmo di voce lento e ricco di pause può favorire la riflessione e il processo di memorizzazione nei partecipanti, ma, come ti dicevo poco fa, può anche farli addormentare. Ecco perché ti consiglio di fare sempre attenzione a non esagerare con la lentezza e a non abusare delle cosiddette “pause teatrali”.
Allo stesso modo, evita anche le “mitragliate” stile Enrico Mentana o Paolo Bonolis, perché rischi di non articolare bene tutte le parole e di diminuire così la capacità del pubblico di seguire il tuo discorso e di prendere appunti.

Pause
Abbiamo accennato all’utilizzo delle pause parlando del ritmo vocale, poiché la pausa è il momento in cui il ritmo della voce si spezza per consentire a chi ascolta di elaborare quanto ha appena sentito.
Da parte mia, ti suggerisco di aggiungere una breve pausa nel tuo discorso ogni volta che introduci un argomento nuovo o di particolare importanza, in modo da sottolineare il passaggio ad una nuova fase dando al pubblico il tempo di “registrare” il cambiamento. Per questo stesso motivo, ti consiglio di inserire una pausa al termine di ogni affermazione importante, consentendo a chi ti ascolta di prendere nota delle tue parole sia mentalmente che materialmente.
Se poi sei un tipo timido e ogni tanto, sopraffatto dall’emozione di parlare in pubblico, sei colto da un “vuoto di memoria”, l’aver utilizzato delle pause in precedenza ti aiuterà a camuffare meglio la pausa forzata dovuta alla temporanea mancanza di parole…
 

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A presto!

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Come fare una buona prima impressione

25/3/2016

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Foto
Come disse il grande Oscar Wilde: “non esiste una seconda occasione per fare una buona prima impressione”.

Statisticamente parlando, impieghiamo dai 5 ai 7 secondi per farci una prima impressione su qualcuno e questa prima valutazione si basa, neanche a dirlo, sull’aspetto fisico. Più precisamente, i tre elementi che soppesiamo nel farci una prima impressione sono look, postura ed espressione del viso. Per questo motivo, se vuoi assicurarti una valutazione positiva da parte dei tuoi interlocutori, ti consiglio di seguire attentamente i consigli che sto per darti:
  • Ricorda che l’abito fa il monaco. Osserva per un attimo la foto che accompagna questo post e sii sincero: se ti trovassi all’ospedale e ti venisse incontro l’uomo a destra dicendoti che sarà lui a curarti, ti sentiresti tranquillo come se ad occuparsi di te fosse il suo gemello a sinistra? In realtà si tratta della stessa persona, ma l’accostamento delle due immagini dovrebbe farti riflettere su quanto il nostro aspetto condizioni l’immagine che gli altri si fanno di noi. Ecco perché è fondamentale che, quando parliamo in pubblico, il nostro look sia adatto alla situazione, meglio se in linea con quello dei nostri interlocutori. Lo speaker, infatti, non deve mai sembrare un pesce fuor d’acqua, ma deve apparire come “uno del gruppo”, al massimo vestito un po’ meglio, mai un po’ peggio. Va poi detto che non esiste un abito perfetto per ogni occasione, poiché è  il contesto che detta il look. Ne consegue che, se ti trovi ad una riunione informale, faresti meglio a rinunciare al doppiopetto, optando per una camicia senza cravatta. Se invece l’occasione lo richiede, non esitare ad infilarti un completo elegante: potrebbe rivelarsi un elemento indispensabile per  fare colpo sui tuoi interlocutori! 
  • Ricorda che non sei Robocop e neppure John Wayne. La tua postura deve esprimere entusiasmo, fiducia e sicurezza. Dovresti stare bene eretto, con i piedi ben piantati al suolo e le braccia morbide lungo i fianchi, pronte a muoversi con scioltezza (non sei Robocop) per ricambiare una stretta di mano o per accompagnare con una gestualità enfatizzante il contenuto del tuo discorso. Vanno perciò evitate sia posture di “superiorità”,  che possono suscitare antipatia, che posture “di chiusura”, che trasudano tensione.  Le principali posizioni che comunicano “superiorità” sono: la postura detta “alla John Wayne” (petto in fuori e mani poggiate ai fianchi), la postura del comandante che ispeziona le truppe (petto in fuori e mani incrociate dietro alla schiena) e la postura della top model (postura sbilanciata con la mano sul fianco). Tra le principali posture che indicano un atteggiamento di chiusura abbiamo invece schiena curva, capo chino, occhi bassi e mani incrociate sul petto o davanti alle parti intime. Questi atteggiamenti carichi di nervosismo sono “pericolosi” tanto quanto quelli che rivelano eccessiva sicurezza in se stessi (postura sbilanciata all’indietro e mani in tasca). 
  • Ricorda che la regola d’oro è: sorridere, sorridere, sorridere. A meno che tu non ti appresti a dare una notizia tragica o a pronunciare un elogio funebre, fai la tua entrata in scena con un sorriso sulle labbra. Grazie all’azione dei neuroni specchio, i tuoi interlocutori saranno naturalmente portati a ricambiare il tuo sorriso, e fra di voi si istaurerà fin da subito un clima disteso, fondamentale per dare il via ad un processo di comunicazione efficace.
Tutto ciò, per dire come spesso, prima di iniziare a dialogare con qualcuno, ci concentriamo sulla prima cosa da dire, quando in realtà non sono quasi mai le nostre parole, e quindi i nostri pensieri e la nostra interiorità, a determinare la prima impressione che facciamo sugli altri. Certo, se quando apriamo bocca diciamo una marea di stupidaggini, la valutazione positiva che avevamo ricevuto inizialmente svanirà come neve al sole e, viceversa, se quando apriamo bocca siamo in grado di incantare le persone con il nostro eloquio, potremo facilmente recuperare una cattiva impressione iniziale. Tuttavia, concorderai con me quando affermo che sarebbe meglio partire fin da subito con il piede giusto, facendo il possibile per fare una buona prima impressione.
Per questo motivo, la prossima volta che ti trovi in pubblico, ricordati di mettere in pratica i suggerimenti che ti ho dato in questo post, facendo attenzione a look, postura e sorriso. Poi, se ti va, lascia un commento per farmi sapere com’è andata.
A presto!
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Dillo con le mani...

14/2/2016

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Italia: patria dei gesticolatori… Ti ho già spiegato, in uno dei miei primi post, che la comunicazione non verbale – il cosiddetto “linguaggio del corpo” – è fondamentale per veicolare un messaggio in modo efficace. Quello che non ti ho detto, ma che ti svelo ora, è che lo strumento principe di questo linguaggio sono le tue mani.
Perciò, se anche tu sei fra quelli che si chiedono “ma dove devo tenere le mano quando parlo in pubblico?” sei capitato sul post giusto.
​

Regola numero uno: quando entri in scena, le tue mani (così come le tue braccia) dovrebbero essere abbandonate lungo in fianchi e iniziare a muoversi solo quando inizi a parlare, per accompagnare, sottolineare e rafforzare tutto ciò che esprimi a livello verbale e paraverbale.

Regola numero due: per nessun motivo dovrai nascondere le mani mentre parli in pubblico, perché, a livello inconscio, chi ti guarda percepirà il tuo gesto come un segnale del fatto che, molto probabilmente, “hai qualcosa da nascondere”. Quindi niente mani dietro la schiena, che fanno molto “bimbo colto in flagrante mentre ruba la marmellata”, né mani in tasca che, pur dandoti un’aria amichevole ed informale, potrebbero farti apparire, agli occhi di qualcuno, un po’ troppo arrogante e sicuro di te.
Se poi, mentre tieni una mano in tasca, ti metti a giocherellare con il mazzo di chiavi che si trova al suo interno, è fatta: il pubblico si lascerà distrarre dal tintinnio e smetterà di prestarti attenzione.

Se tutto ciò non bastasse a convincerti che è sempre consigliabile tenere le mani bene in vista, fai una prova pratica: posizionati davanti allo specchio e prova a parlare per tre minuti, mentre spieghi un concetto, senza muovere le mani. Ti renderai conto di come sia difficile e di quanto le tue parole sembrino perdere efficacia quando non sono accompagnate da un movimento di braccia e mani. Allora perché “nascondere” uno strumento fondamentale per aumentare l’efficacia del tuo discorso?

Certo, vanno fatte le dovute distinzioni… perché se è vero che è bene tenere sempre le mani in vista, è altrettanto vero che ci sono alcuni gesti e movimenti  che andrebbero visibilmente evitati.
Innanzitutto, ti sconsiglio di ricorrere a gesti accusatori e volgari quali corna, dito medio e gesto dell’ombrello. Lo stesso vale per gesti come il pollice alzato e il segnale di “OK” (punte di pollice e indice che si toccano) quando non sei sicuro che il pubblico presente in sala sia composto interamente da tuoi connazionali. Per i Nigeriani, infatti, il pollice alzato è l’esatto corrispettivo del nostro dito medio, mentre per i Francesi il nostro gesto dell’ok significa “zero”, “nullità”, per i Giapponesi simboleggia una richiesta di denaro e per i Greci è un modo volgare per indicare che una persona è omosessuale.

Oltre ai gesti codificati che ho appena elencato, andrebbero evitati  tutti i movimenti delle mani che rivelano stress e insicurezza (rigirarsi un anello attorno al dito, toccarsi il collo, torcersi le dita come Lady Macbeth) e i segnali di menzogna (mani che coprono gli occhi o la bocca).
​
Al contrario, è consigliabile gesticolare con le mani sollevate all’altezza degli occhi, perché il viso è la parte del corpo dello speaker che il pubblico osserva maggiormente. Ne consegue che i gesti delle mani compiuti in prossimità del volto (senza coprirlo) risulteranno doppiamente efficaci, contribuendo maggiormente alla riuscita del tuo discorso.

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Parlare VS Comunicare: quando le parole non bastano

10/10/2015

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Blog Moletta Corsi Parlare Comunicare
Un detto famoso tra gli specialisti della comunicazione è “non si può non comunicare”. Ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcuno, infatti, il nostro atteggiamento comunica qualcosa, anche se restiamo in assoluto silenzio. Non a caso spesso si parla di “silenzi eloquenti” o di gesti e sguardi  che “valgono più di mille parole”.

Da ciò possiamo dedurre che il linguaggio verbale, pur essendo lo strumento principe della comunicazione, è solo uno dei tanti mezzi che abbiamo a disposizione per esprimerci. Affinché il messaggio che vogliamo trasmettere sia pienamente compreso dal nostro interlocutore, infatti, le parole non bastano, e il loro significato dovrà essere rafforzato dall’utilizzo corretto e coerente di altri due strumenti: il linguaggio non verbale, noto anche come “linguaggio del corpo”, e il linguaggio paraverbale, dato dal tono di voce, dal ritmo e dalle pause.

Affinché la nostra comunicazione risulti efficace, i tre linguaggi appena menzionati (verbale, non verbale e paraverbale) devono essere coerenti tra loro. Questo concetto è fondamentale, perché una discrepanza tra questi tre linguaggi, oltre a diminuire l’efficacia della comunicazione, può dare al nostro interlocutore l’impressione che gli stiamo mentendo.

Pensa ad esempio all’ultima volta che hai visto un amico o un familiare con l’aria stanca, triste, abbattuta. Ti sei avvicinato e gli hai chiesto “hey, come va?” e lui o lei ti ha risposto in tono triste “bene”, senza perdere la sua espressione afflitta. Hai creduto davvero che quella persona stesse bene, solo perché te lo ha detto? Immagino di no. Ma se quella stessa persona avesse avuto un espressione sorridente e ti avesse risposto con voce allegra e squillante le stessa identica parola (“bene”) non avresti avuto dubbi su come si sentisse veramente. Nel primo caso hai dubitato perché il linguaggio verbale del tuo interlocutore contrastava con il suo linguaggio non verbale e paraverbale, dicendo l’esatto opposto di ciò che comunicavano questi ultimi. Inoltre, sempre grazie a questo esempio, possiamo renderci conto di come, quando c’è una discrepanza tra i linguaggi espressivi, noi tendiamo a credere a quanto ci dicono il linguaggio non verbale e quello paraverbale.

Secondo uno studio condotto nel 1967 dallo psicologo statunitense Albert Mehrabian, questi due linguaggi, oltre ad essere i più affidabili e veritieri, costituiscono il 93% del messaggio che raggiunge il nostro interlocutore. Solo il restante 7% della comunicazione avviene attraverso il linguaggio verbale, ossia attraverso le parole che utilizziamo per esprimerci. Sembra incredibile, non è vero? Eppure è così, salvo alcune ovvie eccezioni. Torna per un attimo con la mente sui banchi di scuola e immagina di dover essere interrogato sui Promessi Sposi: puoi guardare il professore dritto negli occhi, assumere una posa che trasuda preparazione e usare una voce calma e sicura, ma se alla domanda “Chi ha scritto I Promessi Sposi?” rispondi “Dante” un bel quattro non te lo leva nessuno. Questo per dirti che le percentuali che ti ho dato vanno prese con le pinze e riviste in eccesso o in difetto a seconda della situazione comunicativa in cui ti trovi.

Detto ciò, resta comunque vero che, per diventare un bravo speaker, dovrai passare altrettanto, se non più tempo a riflettere su come comunicare il tuo messaggio che non sull’elaborazione del tuo discorso. Questo perché non è tanto quello che dici, quanto come lo dici, che colpirà il tuo pubblico.

Per saperne di più, leggi il mio prossimo post sui segreti del linguaggio non verbale o clicca sulla pagina “corsi” per regalarti un’esperienza formativa che cambierà la tua vita relazionale e professionale.


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    Autore

    Chiara Moletta, classe 1985, dottore magistrale in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali e specialista in tecniche e strategie di comunicazione efficace e assertiva applicate al Public Speaking.

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