CHIARA MOLETTA - PUBLIC SPEAKING
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PRENDI LA PAROLA E FATTI ASCOLTARE - Riflessioni su Public Speaking e Personal Branding

4/11/2019

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Qui di seguito potrai leggere l'articolo scritto da Monica Bergamin, esperta di personal branding, dopo aver partecipato ad uno dei miei corsi.
Monica ha individuato una serie di interessanti punti di incontro tra l'arte di parlare in pubblico e quella di promuovere la propria immagine e la propria attività sul web, riflessioni che desidero condividere con te.
Per maggiori informazioni su Monica e sulla sua attività, visita il suo blog: Acapoverso.it.
​da cui è tratto il post che segue:


Il public speaking per il tuo personal branding

Personal branding e public speaking sono strettamente collegati: quando parli in pubblico devi esprimerti al meglio perché, in quel momento, stai generando un’impressione su chi hai di fronte. Ci metti la faccia e parli di te o di qualcosa a te molto vicino: il tuo intervento diventa un tassello d’acciaio, un frammento indelebile nella memoria e nella percezione che le persone avranno di te.
Ma quanto è difficile parlare davanti ad una platea di sconosciuti?

Se soffri come me di glossofobia, la paura di parlare in pubblico, ti racconto cosa ho imparato in un week end intensivo dedicato al public speaking. E qualche riflessione su quanto, in realtà, parliamo spesso in pubblico, senza quasi accorgercene e senza darci il giusto peso, ogni volta che scriviamo un contenuto sui social o un articolo nel nostro blog.

Public speaking tra paura e pensieri limitanti
Parlare in pubblico è in genere fonte di ansia. Cuore che batte all'impazzata, vampate di rossore intermittente, saliva mancante o troppo abbondante, sensazione di svenimento da sincope annunciata: tutti sintomi che conosco bene e dei quali desidero da sempre liberarmi.

In realtà, se ci penso, ho già affrontato il pubblico: a scuola durante le interrogazioni, all'università quando discutevo la tesi o durante un intervento in una riunione in ufficio. Ma un conto è parlare e un altro è comunicare in modo efficace. Per raggiungere le persone che hai di fronte e mandare un messaggio corretto servono tecniche e accortezze precise. Prima di tutto per superare l’ansia che ci paralizza. Come? Solamente con la pratica. Si, non c’è scampo e non esiste altro modo per superare una paura che nasce da un pensiero, il tuo: di non essere all'altezza, di fare brutta figura, di essere giudicato. Le idee che bloccano e limitano, si aggirano solo con l’esercizio e qualche buon accorgimento pratico.

Respira, occhi al pubblico e inizia con il botto 
Per entrare nel vivo della materia ho avuto come coach Chiara Moletta, giovane e bravissima consulente di public speaking e ho frequentato un suo corso intensivo: un week end all'insegna di teoria, pratica, cardiopalma ma anche risate e nuovi stimolanti incontri.

Dei tanti suggerimenti e insegnamenti di Chiara, quelli più semplici che voglio condividere riguardano tre elementi che possono fare la differenza se hai paura, come me, di parlare in pubblico: il respiro, lo sguardo e l’incipit del tuo discorso.

Il respiro
Respirare è l’unica attività essenziale alla vita, la più naturale ma anche la più inconsapevole. Ti fermi mai un attimo durante la giornata ad osservare il tuo respiro? No, vero? Normale, nemmeno io lo faccio. In effetti non ne abbiamo bisogno: in genere l’aria fluisce da sempre, senza sforzo e spontaneamente dentro e fuori di noi. Eppure, proprio quando siamo in tensione, quell’atto automatico e semplice diventa difficile e ci chiede attenzione.
Le tecniche per imparare a gestire il respiro, e dunque l’ansia, sono le basi da imparare per una buona comunicazione dal vivo. Perché per parlare bene, devi respirare al meglio.

Lo sguardo
Guardare il tuo pubblico è importante: collegare il tuo sguardo a chi ti sta di fronte, andare oltre le sensazioni a pelle di simpatia o antipatia, umori e impressioni serve a generare un contatto sincero con chi ti sta ascoltando. Devi farlo però in modo democratico, senza fissarti su qualcuno in particolare ma rendendo partecipe del tuo interesse tutta la platea che si sentirà in tal modo interamente considerata.

L’incipit
L’inizio della comunicazione davanti ad un pubblico, come nel testo scritto, ha la funzione di attrarre le persone in modo da coinvolgerle e guadagnare la loro attenzione. Alcune modalità con cui iniziare un intervento sono le stesse che si possono applicare genericamente alla comunicazione online come ad esempio:
  • creare un effetto sorpresa, spiazzando il pubblico e stravolgendo le sue aspettative;
  • porre una domanda;
  • iniziare con il racconto di un aneddoto;
  • esporre una citazione.
Questi suggerimenti, e tanti altri che se avrai la voglia di conoscere Chiara imparerai di persona, servono a fare in modo di iniziare con il piede giusto, guadagnandoti subito occhi, orecchie e interesse del tuo pubblico. Anche se questo è seduto davanti ad un pc o con uno smartphone in mano, dall'altra parte della città.

Parlare in pubblico e comunicare online: le analogie
In effetti, a ben guardare, quanto nella realtà tutti noi sperimentiamo quotidianamente il public speaking e, al contempo, contribuiamo al nostro personal branding?

Un po’ con la stessa mancanza di consapevolezza con cui naturalmente respiriamo, anche quando usiamo i social network o scriviamo nel nostro blog personale, siamo spesso poco coscienti che stiamo in realtà parlando davanti ad una reale platea composta dai nostri collegamenti e pubblico di lettori. Cambiano il contesto e le modalità espressive ma alcuni elementi non svaniscono, semplicemente si trasformano: la voce in parola scritta o immagine, i gesti in emoticon e icone, l’aspetto fisico e il look in foto personali, la prossemica in quantità e modalità di interventi.

Hai mai pensato che quando prendi la parola sui social stai facendo anche tu public speaking? E, soprattutto, stai generando un’impressione su chi ti legge, anche se lo fai in uno spazio web. Le regole basilari dell’educazione, del buon senso e della buona comunicazione, rimangono dunque le stesse. Esserne consapevoli è un primo passo per curare al meglio anche il proprio personal branding.

Migliorare il tuo public speaking con un corso ad hoc è un buon modo per metterti alla prova, allenarti e superare qualche idea limitante. Per me è diventata un’occasione per riflettere su me stessa e sulle modalità con cui nella vita di ogni giorno uso, abuso o spreco le possibilità di usare le meravigliose potenzialità che la comunicazione offre nei vari contesti, siano essi fisici o online.
​
E tu hai mai pensato di frequentare un corso di public speaking per il tuo personal branding?  
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Intervista a Radio Venezia

4/5/2019

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Se vuoi conoscere un po' meglio me e la mia attività puoi iniziare da questa breve intervista registrata nel corso di una puntata della trasmissione "Live Social", in onda su Radio Venezia.
I miei ex corsisti si sono divertiti un mondo vedendomi costretta a parlare come un treno per cercare di rubare la parola al mio intervistatore, che avrebbe dovuto farmi tre domande concordate e ha finito con il farmene circa 300... improvvisate!!
Una faticaccia, ma mi sono divertita un sacco!
CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO
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Intervista per il Blog "Crearsi"

4/5/2019

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Cliccando sul link in basso potrai scoprire qualcosa in più sui miei corsi, dei quali ho parlato con Eliana Santin nel corso di un'intervista per la sua rubrica mensile "dedicata a donne che diffondono bellezza e armonia e che contribuiscono con la loro unicità e creatività a divulgare un messaggio positivo al mondo, in un’epoca di veloci cambiamenti".
CLICCA QUI PER LEGGERE L'INTERVISTA
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Come gestire una critica in modo efficace

6/8/2018

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Gestire critiche public speaking
Ammettiamolo… a nessuno piace essere criticato. Per quanto una critica possa essere fondata e costruttiva, oltre che utile alla nostra crescita umana e professionale, tutti noi, potendo scegliere, preferiremmo ricevere una pacca sulla spalla piuttosto che una proverbiale “botta sui denti”.
​
Il problema è che spesso ce ne dimentichiamo e, non appena qualcuno ce ne fornisce l’opportunità, sfoderiamo gli artigli e ci trasformiamo in critici degni di un’ospitata nel peggior salotto televisivo italiano. Ecco perché difficilmente mi sbaglierò se affermo che probabilmente anche tu, caro lettore, nella vita sei stato bersaglio di critiche più o meno costruttive e, in più di un’occasione, ti sei poi trovato a rimuginare sulla tua reazione iniziale e su quanto avresti voluto comportarti diversamente.

Se ti sei riconosciuto nella situazione che ho appena descritto rallegrati: sei capitato nel post giusto. Tra poche righe, infatti, ti darò una serie di consigli che potrai mettere in pratica per uscire sereno e vincente dal confronto, la prossima volta che ti troverai in una situazione… critica!
Prima di entrare nel cuore dell’argomento devo tuttavia premettere che esistono due diverse tipologie di critica che potresti sentirti rivolgere e che ti spiegherò come affrontare: la prima è una critica espressa contro le tue idee o le tue azioni (ad esempio “non sono d’accordo”, “secondo me sbagli”) mentre la seconda, decisamente più difficile da gestire, consiste in un giudizio negativo rivolto alla tua persona (es. “sei un incapace”, “sei uno sciocco”).
Ma procediamo con ordine…

Come gestire una critica rivolta alle tue idee o alle tue azioni
Ripensa per un attimo all'ultima volta che qualcuno ha criticato un tuo parere o qualcosa che hai fatto: come hai reagito? Con ogni probabilità avrai tentato di difenderti, sparando a raffica una serie di argomenti a sostegno del tuo punto di vista. Si tratta di una reazione del tutto naturale ma, sfortunatamente, di scarsissima efficacia e potenzialmente rischiosa. Spesso, infatti, tra le argomentazioni che adduci in tua difesa, si nascondono insospettabili spunti per ulteriori critiche da parte dei tuoi interlocutori… provare per credere.

Che cosa fare allora? In realtà la soluzione è così semplice che potrebbe addirittura sembrarti banale (almeno finché non la sperimenterai!)… Basta porre una domanda amatissima dai bambini di quattro anni di tutto il mondo: “PERCHÉ?”.
E te lo chiedo io per prima: perché, dopo aver esposto un’idea o un progetto cui magari lavori da tempo, dovresti permettere a qualcuno di criticarti senza esplicitarne il motivo? Non pensi che sarebbe meglio costringere il critico a giustificare la propria opinione, prima di salire sul banco degli imputati a difendere il tuo operato? Tanto più che in questo modo otterrai un duplice risultato: innanzitutto metterai subito con le spalle al muro i cosiddetti “bastian contrario”, insopportabili e onnipresenti personaggi che sembrano avere come missione nella vita criticare il prossimo, solitamente senza validi motivi oltre al piacere che provano nel contrariare un altro essere umano. Di fronte al tuo spiazzante “perché?” queste persone non sapranno cosa rispondere (dato che “per principio” non è una motivazione che possano far valere) e saranno costrette ad un imbarazzante dietrofront.
L’altro risultato positivo che otterrai con la “tecnica del perché” sarà di doverti difendere (nel caso in cui il tuo interlocutore porti elementi concreti a sostegno del proprio punto di vista) solo da critiche ben precise. Va da sé che la cosa avverrà in maniera molto più semplice ed efficace se, prima di affrontare un potenziale detrattore, ti sarai messo per un attimo nei suoi panni e avrai pensato a tutte le possibili obiezioni che potrebbe sollevare, preparandoti a confutarle con argomenti convincenti.

Ti assicuro che la strategia che ti ho suggerito ti permetterà di cavartela nella maggior parte dei casi, ma ho il dovere di avvertirti che, per quanto ti prepari a ribattere e controbattere, esiterà sempre l’eventualità che tu possa perdere un confronto. Dopotutto sei un essere umano e, come tale, sei destinato a fare degli sbagli. Se qualcuno te li farà notare, incassa il colpo, ringrazia e ricorda: la possibilità di migliorare passa dalla consapevolezza delle proprie debolezze.
 
Come gestire una critica rivolta alla tua persona
Passiamo ora al peggior tipo di critica che una persona possa ricevere: un giudizio negativo su di sé. A questo punto voglio spezzare pubblicamente una lancia a favore di chi, di fronte a un’affermazione del tipo “sei un povero incapace” dovesse rispondere con un piccato “e chi saresti tu per giudicarmi, ***?” (al posto degli asterischi, inserire turpiloquio a piacimento).
Ritengo sia infatti nostro diritto pretendere che le persone si limitino a criticare le nostre azioni, lasciando stare ogni forma di giudizio sulla nostra persona nella sua interezza. Devo però aggiungere che se, come inevitabilmente accadrà, qualcuno non dovesse rispettare questo nostro diritto, una scazzottata alla Fight Club per difendere la nostra dignità lesa non è sempre la soluzione migliore. Potremmo anche uscirne vincenti ma, una volta che avremo pestato il nostro collega, capufficio o vicino di casa, avremmo forse ottenuto qualche risultato positivo (a parte la soddisfazione momentanea di vederlo a terra sanguinante)? Sicuramente no, allora meglio tentare la via diplomatica che, credimi, è infinitamente più semplice e non necessariamente meno soddisfacente.

In cosa consiste questa via? Ancora una volta, in un’unica, semplice domanda: “PERCHÉ?”. Mettiamo che qualcuno ti dia, come abbiamo ipotizzato sopra, del “povero incapace”. La prossima volta perché, invece di scoppiare in lacrime, iniziare con una sfilza di giustificazioni o tirargli un pugno, non provi a chiedergli serenamente “perché pensi che sia un povero incapace?”. Il tuo interlocutore rimarrà molto probabilmente spiazzato dalla compostezza e dalla pacatezza della tua reazione e sarà costretto a rimettere in moto l’emisfero sinistro del cervello (quello in cui ha sede il pensiero razionale) per trovare una motivazione sensata alla propria critica. Insomma, ancora una volta sarà lui a doversi giustificare, non tu, e già questo mi pare un bel risultato. Poi, una volta che il tuo interlocutore avrà espresso le motivazioni che l’hanno spinto a criticarti in modo così duro, potrai passare a difendere il tuo operato (se hai degli argomenti validi) o incassare il colpo e cercare una soluzione (se effettivamente sei in torto). Anche in quest’ultimo caso sarai comunque uscito vincente dal confronto, perché sarai riuscito a riportare la critica sul piano delle idee, spostandola dalla tua persona.
​
Sorrido mentre scrivo questo post, perché so già che qualcuno starà pensando che il suo capo/vicino/marito/moglie/allenatore di pallacanestro non è tipo da rispondere con garbo alle richieste di spiegazioni. No! L’individuo in questione, di fronte a una reazione da monaco zen, diventerebbe ancora più offensivo, specialmente in presenza di un po’ di pubblico davanti al quale dare spettacolo.
Lo so, purtroppo esistono anche persone con cui è impossibile avviare un confronto costruttivo o anche solo civile. L’importante, in questo caso, è non cedere all’impulso di abbassarsi al loro livello (ricambiando aggressività e insulti) o a quello di ignorarli (perché diventerebbero ancora più bellicosi). Meglio insistere nel tentativo di riportare la discussione sul piano razionale: l’aggressore verbale prima o poi si calmerà o, stanco di vedere che non raccogliamo la sfida, si allontanerà borbottando con la coda tra le gambe. Chiunque abbia assistito allo spettacolo non avrà dubbi su chi sia uscito vincente dal (mancato) confronto: noi, gli SSC, Superiorissimi Signori della Calma.

Hai trovato questo post utile? Fammelo sapere con un like o condividilo con i tuoi amici! Se invece vuoi conoscere altre strategie per gestire brillantemente una critica, ricorda che potrai scoprirle partecipando a uno dei miei corsi intensivi di public speaking!

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L'ABC di un buon discorso

25/7/2017

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​Hai mai sentito una persona dire che si comporta in un certo modo “per deformazione professionale”? Io sì, spesso. Conosco un fiorista che, mentre sorseggia un aperitivo al bar, guarda se la piantina grassa sul bancone ha abbastanza acqua, una dottoressa che si lava le mani fino al gomito per un quarto d’ora prima di tagliare un pomodoro e una bibliotecaria che prepara lo zaino del figlio inserendo i libri in ordine alfabetico.

Frequento gente strana? Può darsi, ma perché ti racconto questo? Perché giusto ieri mi sono chiesta quale fosse la mia deformazione professionale. Mi sono fatta un esamino di coscienza e poi ho chiamato un paio di colleghi per un piccolo confronto. Il verdetto è stato il seguente: noi docenti di public speaking  abbiamo la malsana abitudine di giocare con le parole.
Direi che come deformazione professionale ci sta tutta, tanto che ho deciso di celebrarla con un post dedicato ad uno dei miei giochi di parole preferiti: l’ABC di un buon discorso.
Di cosa si tratta? Semplicemente di un trucchetto per memorizzare le tre caratteristiche fondamentali di un discorso ben fatto, riassumibili in tre parole che iniziano per A, B e C.
Sei curioso di conoscere queste tre parole? Ti accontento subito…

La A sta per ACCURATEZZA
I miei corsisti sanno che uno dei miei mantra è: “anche l’improvvisazione richiede grande preparazione” (nota la rima, prego). Il segreto per una figuraccia assicurata è mostrarsi imprecisi, impreparati, approssimativi nel fornire informazioni o, peggio ancora, bugiardi.
Bugiardi? Sì, bugiardi, perché se andiamo a fare un discorso e non siamo preparati, cosa facciamo quando qualcuno tra il pubblico ci fa una domanda cui non sappiamo rispondere? Nella maggior parte dei casi buttiamo lì una risposta a caso sperando di non essere smentiti, perché pochi di noi hanno il coraggio di fare la cosa giusta e ammettere: “mi dispiace, non sono in grado di risponderti”. Il guaio è che, specialmente con la tecnologia disponibile di questi tempi, l’accuratezza di un’informazione è spesso verificabile in pochi istanti, il tempo di un paio di clic sullo smartphone. Quello che invece richiederà secoli sarà levare l’onta della figuraccia dalla reputazione dello speaker, perciò ricorda: il contenuto del tuo discorso va preparato accuratamente, così come il materiale che lo accompagna (slide e altri supporti audiovisivi) e tutto il resto della tua performance.

Ho capito… devo essere accurato… e la lettera B?

La B sta per BREVITÀ

Un buon discorso deve durare poco, poiché sappiamo che dopo una ventina di minuti anche l’attenzione di un cervello ben allenato tende a calare. Non a caso i TED Talks, le conferenze che ospitano alcuni dei migliori oratori al mondo, prevedono interventi della durata massima di 18 minuti (e credimi, parliamo di gente che ascolteresti parlare per ore anche se stesse leggendo l’elenco del telefono).
Attenzione però: questo non significa che i discorsi di un’ora andrebbero aboliti, ma semplicemente che dovremmo sforzarci di essere precisi ed efficaci nel dire solo l’essenziale. Del resto, come disse molto meglio di me Antoine de Saint-Exupéry: “la perfezione non si ottiene quando non c’è più nulla da aggiungere, bensì quando non c’è più nulla da togliere”.

Ed è così che, per rispettare la regola della brevità, vengo subito al terzo e ultimo punto, la lettera C che sta per CHIAREZZA.
Essere brevi e accurati non basta a renderci dei bravi comunicatori, se non ci preoccupiamo di formulare il nostro discorso in maniera chiara, seguendo un filo logico ben preciso ed utilizzando un linguaggio semplice, spoglio di tecnicismi inutili.
Pensaci: quante volte ti sei imbattuto in professionisti che, nel tentativo di spiegarti qualcosa, usavano termini per te incomprensibili? Penso a certi medici, avvocati, commercialisti, informatici… L’elenco potrebbe essere lungo, perché ogni settore ha la sua terminologia specifica, una sorta di “linguaggio nel linguaggio” cui è difficile rinunciare, perché conoscerlo ci fa sentire preparati e parte di qualcosa. Tuttavia, se il nostro interlocutore non è un addetto ai lavori, i termini settoriali rischiano di diventare un grosso ostacolo alla riuscita della comunicazione. Questo perché ogni volta che il nostro cervello registra un termine che non conosce si blocca nel tentativo di dargli un significato, finendo  per distrarsi. Perciò ricorda: se vuoi mantenere salda l’attenzione del pubblico, il segreto è  parlare in modo chiaro, semplice e lineare.

Ora  potrei continuare con le altre 18 lettere dell’alfabeto e iniziare a parlarti del DEF di un buon discorso ma, in ossequio al principio di brevità, mi limiterò a rivolgerti un invito: la prossima volta che farai un intervento in pubblico tieni bene a mente l’ABC e mettilo in pratica!

Poi, se ti va, lascia un commento qui sotto per farmi sapere com’è andata o vieni a trovarmi nel mio studio per raccontarmi la tua esperienza.

A presto!
Chiara

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Intelligenza Emotiva & Comunicazione Efficace

14/12/2016

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Cosa ci rende dei bravi comunicatori? La predisposizione naturale? Lo studio? La cultura? La preparazione? L’allenamento?

Beh certo, tutte queste cose aiutano e insieme possono favorire l’efficacia di un processo di comunicazione, ma nessuno di questi elementi, da solo, può essere considerato come la chiave di svolta per trasformarci in eccellenti comunicatori. Questo ruolo spetta infatti ad un’altra abilità, tanto rara quanto preziosa: l’intelligenza emotiva.

Se ti stai chiedendo di cosa si tratta, te lo spiego subito: l’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere pensieri, emozioni e comportamenti propri ed altrui e di utilizzare questa consapevolezza per migliorare il proprio rapporto con se stessi e con gli altri.

Il bello dell’intelligenza emotiva è che le sue quattro componenti sono delle abilità che si possono apprendere e migliorare. A differenza del quoziente intellettivo, infatti,  il QE (quoziente emotivo) non è determinato alla nascita, ma può essere aumentato nel corso della vita. Questo significa anche che non è mai troppo tardi per diventare dei bravi comunicatori e che nessuno, potenzialmente, è escluso dalla possibilità di riuscirci.

A questo punto vorrai sapere quali sono queste quattro competenze che possono aiutarti ad aumentare il tuo quoziente emotivo…

Le prime due, note come abilità “individuali” sono autoconsapevolezza ed autocontrollo. Con il termine autoconsapevolezza, mi riferisco alla capacità di riconoscere e comprendere i nostri pensieri, le nostre emozioni e i comportamenti che ne derivano. Un bravo comunicatore dovrebbe riuscire a capire quali sono le emozioni che prova quando interagisce con il suo pubblico/interlocutore e cosa pensa prima, dopo e durante il suo discorso, ma soprattutto dovrebbe capire le origini di queste emozioni e di questi pensieri. Solo una volta che avrà acquisito consapevolezza delle ragioni che stanno dietro il suo modo di pensare, sentire ed agire, uno speaker potrà infatti assumerne il controllo e, da qui, sviluppare la seconda grande abilità QE che è, per l’appunto, l’autocontrollo.

Il compito non è facile, ma ti consoli sapere che, una volta imparato come gestire te stesso, avrai già percorso una buona metà della strada che ti porterà a diventare un comunicatore di successo. Prima di poterci arrivare, però, dovrai sviluppare altre due abilità QE: la coscienza sociale e la gestione dei rapporti.

La coscienza sociale, altrimenti nota come “empatia”, è la capacità di riconoscere e comprendere sentimenti, emozioni e comportamenti altrui. È la controparte “sociale” dell’autoconsapevolezza, la capacità di comprendere a fondo l’altro. Solo dopo aver sviluppato questa abilità, sarai pronto a lavorare sulla quarta e ultima competenza emotiva: la gestione dei rapporti. Gestire un rapporto in modo efficace, richiede infatti che i soggetti del rapporto siano in grado di comprendere e controllare se stessi e di comprendere (senza voler controllare) gli altri.

Per capire l’importanza di tutto ciò, ti basti riflettere sull’origine etimologica del termine comunicazione, che si potrebbe tradurre con “agire in comune, agire insieme”. La comunicazione, infatti, non è un processo unidirezionale in cui qualcuno dice qualcosa a qualcun altro e fine della storia. La comunicazione è un processo bidirezionale, al centro del quale si trova uno scambio tra esseri umani che, per potersi capire tra di loro, devono per prima cosa conoscere se stessi e, in seconda istanza, sforzarsi di comprendere chi sia la persona cui stanno cercando di inviare un messaggio. Solo così chi parla potrà capire come rivolgersi al suo interlocutore ed avere la certezza di essere compreso. Non esiste in fatti un modello di comunicazione standard efficace per tutti, il modello va cucito su misura per ogni singolo destinatario del nostro messaggio.

Difficile? Abbastanza. Impossibile? No di certo: basta sviluppare al meglio le quattro abilità QE di cui ti ho appena parlato. Vuoi scoprire come? Beh… è una fortuna che su questo sito siano presenti i miei contatti… ;-)

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L'importanza di saper ascoltare

30/7/2016

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L'importanza di ascoltare
​Chi si iscrive a un corso di public speaking spesso parte dal presupposto di dover migliorare il proprio modo di parlare in pubblico. In realtà, la chiave del successo di un bravo oratore sta in due capacità apparentemente opposte: la capacità di osservare e quella di ascoltare.
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In uno dei miei primi post, ho richiamato alla tua attenzione due fatti fondamentali:  come parlare e comunicare siano due concetti molto diversi e come la comunicazione, per essere efficace, debba prevedere una forma di “risposta” (chiamata in gergo feedback)da parte dell’interlocutore.

Ora, se mentre parliamo non osserviamo il nostro pubblico, perderemo tutta la parte non verbale del feedback, il che è uno degli errori più gravi che uno speaker possa commettere.
Abbiamo appreso in altri post quanto il linguaggio non verbale, ossia il linguaggio del corpo, sia il più veritiero e affidabile. Questo, poiché è molto più facile mentire con le parole che non con lo sguardo, i gesti, la mimica facciale e la postura.
Ecco perché, se ci concentriamo interamente su noi stessi e non prestiamo attenzione ai segnali che ci arrivano dal pubblico, non sapremo mai se stiamo andando nella direzione giusta, e cioè se il pubblico ci sta prestando attenzione e se è d’accordo o meno con quanto stiamo dicendo.

In realtà ho detto una piccola bugia: non è vero che non sapremo mai cosa il pubblico pensa di noi e delle nostre parole, anzi, lo scopriremo eccome! Quando? Non appena qualcuno tra il pubblico ci interromperà bruscamente o, nei casi più fortunati, quando qualcuno alzerà la mano per farci una domanda.
Se ci è andata bene, e il pubblico ha condiviso quanto gli abbiamo detto, forse riusciremo a cavarcela, ma se dovessero arrivare delle critiche o delle obiezioni, potremmo trovarci seriamente in difficoltà, perché non siamo stati in grado di cogliere l’avvertimento che ci stava giungendo attraverso il linguaggio non verbale del pubblico.

Ora, la cosa più sbagliata che potremmo fare in un caso simile sarebbe applicare un ascolto selettivo, e cioè rispondere solo a domande e commenti neutrali o positivi, fingendo di non sentire, o ignorando apertamente tutte le critiche. Il pubblico sicuramente se ne risentirebbe, e noi avremmo così gettato un’ombra negativa su tutto il nostro discorso.

Un membro del pubblico che è stato lì ad ascoltarci per mezzora, o magari per ore, ha tutto il diritto di avere un piccolo spazio per chiedere dei chiarimenti o comunicare le proprie impressioni. Se questo spazio non gli viene concesso, se lo procurerà da solo, iniziando a parlare con il vicino di sedia per manifestargli i propri dubbi o il proprio disappunto, e finendo così, inevitabilmente, per distogliere l’attenzione dallo speaker.
Se anche decidesse di tenere i propri dubbi per sé, un pubblico che non ha avuto l’occasione di esprimersi se ne andrà comunque soddisfatto solo a metà, e noi non dobbiamo permetterlo.

Una volta chiarito questo punto, tuttavia, c’è ancora qualche errore da segnalare e che non dobbiamo commettere quando finalmente ci decidiamo a cedere la parola ai nostri interlocutori.
Il primo è quello di dedicare loro un ascolto presuntuoso. Molti oratori, infatti, hanno la pessima abitudine di ascoltare solo la metà di quanto si sta dicendo loro, presumendo erroneamente di aver già capito dove l’interlocutore vuole andare a parare. E cosa fanno questi furbacchioni? Interrompono l’interlocutore prima che abbia potuto terminare l’intervento, fornendo la risposta a una domanda che l’altro non ha ancora formulato e che, probabilmente, non voleva nemmeno formulare.

Un atteggiamento di questo tipo denota una grave mancanza di rispetto nei confronti del pubblico. Tuttavia, bisogna ammettere che in alcuni casi questo ascolto “scorretto” dell’oratore è favorito dall’incapacità del suo interlocutore di arrivare al nocciolo della questione. Se è questo il caso, lo speaker deve resistere alla tentazione di zittire l’altro ed aiutarlo invece a formulare la propria richiesta in modo più chiaro e diretto, attraverso delle semplici domande volte a chiarire il punto centrale dell’intervento. In altre parole, lo speaker deve aiutare il pubblico ad esprimere le proprie idee, non desumere di conoscerle già.

Il secondo grave errore che può commettere un oratore, è quello di riservare ai propri interlocutori un ascolto rituale, e cioè fingere di ascoltarli, magari facendo piccoli cenni di assenso con il capo o ripetendo dei brevi “sì, sì”, quando in realtà sta pensando ad altro. Al momento di controbattere, un oratore distratto non potrà far altro che limitarsi a ringraziare chi ha parlato per il suo intervento, dimostrando così di non avergli prestato ascolto. Ma come possiamo sperare che gli altri ci diano retta se siamo noi i primi a non fare attenzione quando qualcuno ci parla?

Un bravo speaker, dovrebbe considerare il dialogo con il pubblico come una parte integrante e fondamentale del proprio discorso, tanto più che, attraverso un ascolto attivo, attento e partecipe, l’oratore sarà in grado di gestire qualunque intervento della platea senza perdere, ma anzi acquistando, autorevolezza.
È meglio ammettere di non essere stati sufficientemente chiari e illustrare nuovamente un concetto, piuttosto che lasciare che il pubblico se ne vada portando con sé dei dubbi. È meglio chiedere il perché di una critica ed accoglierla (se costruttiva) piuttosto che ignorarla platealmente. È meglio ammettere di non saper rispondere a una domanda, e promettere di informarci al più presto per poter rimediare, piuttosto che fingere di non aver sentito o, peggio ancora, rispondere dicendo la prima fesseria che ci viene in mente.

Uno speaker competente non deve temere o evitare il confronto con il pubblico, perché il pubblico non è composto da esseri inferiori che non meritano la sua attenzione, né da esseri superiori da temere e rifuggire. I membri del pubblico sono suoi pari, sono nostri pari:  persone cui possiamo insegnare qualcosa e da cui non finiremo mai di imparare.

Sei d’accordo con quanto affermato in questo post? Pensi anche tu che sia importante ascoltare ed essere ascoltati? Sei mai stato tentato di zittire qualcuno o ti è mai capitato di essere interrotto bruscamente da qualche Signor So-tutto-io? Se ti va, raccontami la tua esperienza lasciando un commento. 
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Come utilizzare la voce in modo efficace quando parli in pubblico

2/6/2016

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Come utilizzare la voce in modo efficace per parlare in pubblico
La comunicazione paraverbale, e cioè il modo in cui utilizziamo la voce, contribuisce a dare efficacia al nostro messaggio ancor più delle parole che utilizziamo. Ecco perché, se vuoi diventare un bravo speaker, devi assolutamente imparare a modulare la tua voce in modo corretto, tenendo conto di questi elementi:

Timbro
Detto anche “colore della voce”, il timbro è unico per ogni essere umano e dipende dalle caratteristiche delle corde vocali e delle cavità sopralaringali, nonché dalla tonicità muscolare di lingua, velo e diaframma. In altre parole il timbro vocale è lo strumento di cui siamo dotati e produce un suono diverso (e difficile da modificare) per ognuno di noi.
Alcune voci sono “flauti”, altre “pianoforti” e, se e la tua voce è un pianoforte, per quanto ti sforzi, difficilmente potrai farne uscire il suono di un flauto. Il mio consiglio? Accontentati dello strumento che hai e impara a suonarlo al meglio! Come? Attraverso un utilizzo corretto di respirazione, tono, volume, ritmo e pause.

Respirazione
La respirazione corretta, quella che dà maggiore profondità e pienezza alla nostra voce, proviene dalla parte bassa dell’addome, due o tre centimetri sotto l’ombelico. Allenati perciò a parlare adottando una respirazione basso-addominale: così facendo sforzerai meno la gola ed otterrai una voce più piena ed un timbro vocale più basso.
È vero: poche righe più in alto ti ho invitato a non cercare di modificare il tuo timbro vocale. Questo perché, impegnando tutta la tua energia nel controllare la voce in modo artificioso, rischieresti di sottrarla ad elementi di maggior rilevanza all’interno del tuo discorso. Tuttavia, gli studi dimostrano che i timbri più gradevoli all’ascolto sono quelli bassi, pieni, “caldi” perciò, se puoi, sforzati di usare la tonalità più bassa del tuo timbro di voce quando parli in pubblico, aiutandoti con una respirazione corretta.

Tono
Spesso confuso con il volume, il tono di voce si riferisce al modo in cui moduliamo la voce, nel parlare o nel leggere, in rapporto con il contenuto logico delle parole che pronunciamo e con i sentimenti e le intenzioni che vogliamo esprimere attraverso tali parole.
Ovviamente, il nostro tono di voce deve essere coerente con ciò che stiamo dicendo, o il nostro messaggio perderà efficacia e credibilità. Immagina che qualcuno ti dica che è felice con un tono di voce triste: gli crederesti? Penso proprio di no, ed è per questo che, a seconda dei casi, dovrai rafforzare il tuo messaggio “verbale” adottando un tono triste, allegro, arrabbiato, aggressivo, divertito, entusiasta e comunque sempre coerente con le tue parole. Quando ti cali nel ruolo di speaker, ti consiglio di esprimerti con un tono di voce sicuro ed empatico, che trasmetta sincerità, entusiasmo, interesse e convinzione.

Volume
Il volume della voce è la sua frequenza, che può andare dal sussurro all’urlo acuto. Un bravo speaker dovrebbe parlare a un volume di voce sufficientemente alto da farsi sentire senza sforzo da tutti i presenti. Quando si rivolge a un gruppo di venti o trenta persone, non dovrebbe neppure avere bisogno del supporto di un microfono, purché la sua voce non provenga dalla gola (nel qual caso si stancherà presto).
Il microfono infatti ha due difetti: falsa il suono della voce, nel caso in cui lo speaker non lo mantenga alla giusta distanza dalla propria bocca e dalle casse di risonanza, e, se è un microfono “gelato”, terrà una mano dello speaker costantemente occupata, impedendogli una gestualità corretta.
Di fronte ad un pubblico numeroso, tuttavia, è sempre meglio poter contare sul supporto di un microfono che consenta al pubblico di sentire la voce dello speaker senza difficoltà e allo speaker di parlare a lungo, senza sforzare troppo la voce. Le soluzioni migliori? Un microfono “ad archetto” o un microfono “a spillo”!
Se poi non sei certo di utilizzare un volume di voce corretto, chiedi a un amico di mettersi in fondo alla sala in cui farai il tuo intervento e varia il volume della voce fino a che lui non riuscirà a sentirti bene. Quando avrai trovato il volume “di base”, ricordati che abbassando leggermente la voce aumenterai il coinvolgimento emotivo del pubblico, mentre alzando il volume creerai pathos ed aumenterai anche il coinvolgimento “fisico” di chi ti ascolta. Fa attenzione, però, a servirti di questi trucchi con parsimonia, per conservarne l’efficacia.

Ritmo
Il ritmo di voce è dato dalla velocità con cui pronunciamo le parole, dalle escursioni tonali e dalle pause. Un bravo speaker non dovrebbe parlare in modo troppo lento e monotono (a meno che non stia presiedendo una seduta di ipnosi o training autogeno) ma dovrebbe variare tono, ritmo e volume di voce al fine di mantenere viva l’attenzione del pubblico.
Alcuni speaker professionisti parlano addirittura secondo un ritmo prestabilito ma, se sei un oratore alle prime armi, ti consiglio di dare incisività al tuo discorso “calcando” le parole più significative, quelle che sottolineeresti o scriveresti in maiuscolo se il tuo discorso fosse scritto.
Quando invece il tuo pubblico si riduce ad un singolo interlocutore, le tue variazioni di tono, ritmo e volume (dette anche escursioni tonali) devono rispecchiare quelle della persona con cui stai parlando. Noi, infatti, tendiamo a preferire voci simili alla nostra. Una persona che parla molto in fretta, ad esempio, tende a mal sopportare le persone che parlano lentamente ed è tentata di concluderne parole o frasi per riportare la conversazione ad un ritmo più vicino al proprio. Lo stesso accade con le persone che tendono a parlare a voce bassa e si trovano ad interagire con persone che hanno la tendenza ad urlare: la comunicazione risulta fastidiosa.
Le persone, quindi, più o meno inconsciamente, scelgono i loro interlocutori non solo sulla base di ciò che dicono, ma anche e soprattutto per come lo dicono. Hai mai notato che, all’interno di un gruppo di amici, i componenti tendono a parlare in modo simile? Sì? Allora sappi che, per aumentare l’efficacia del tuo messaggio, devi sforzarti di ricreare questo meccanismo “artificialmente”, ricorrendo ad una tecnica nota in PNL con il nome di mirroring (rispecchiamento).
Ricorda comunque che, in generale, un ritmo di voce lento e ricco di pause può favorire la riflessione e il processo di memorizzazione nei partecipanti, ma, come ti dicevo poco fa, può anche farli addormentare. Ecco perché ti consiglio di fare sempre attenzione a non esagerare con la lentezza e a non abusare delle cosiddette “pause teatrali”.
Allo stesso modo, evita anche le “mitragliate” stile Enrico Mentana o Paolo Bonolis, perché rischi di non articolare bene tutte le parole e di diminuire così la capacità del pubblico di seguire il tuo discorso e di prendere appunti.

Pause
Abbiamo accennato all’utilizzo delle pause parlando del ritmo vocale, poiché la pausa è il momento in cui il ritmo della voce si spezza per consentire a chi ascolta di elaborare quanto ha appena sentito.
Da parte mia, ti suggerisco di aggiungere una breve pausa nel tuo discorso ogni volta che introduci un argomento nuovo o di particolare importanza, in modo da sottolineare il passaggio ad una nuova fase dando al pubblico il tempo di “registrare” il cambiamento. Per questo stesso motivo, ti consiglio di inserire una pausa al termine di ogni affermazione importante, consentendo a chi ti ascolta di prendere nota delle tue parole sia mentalmente che materialmente.
Se poi sei un tipo timido e ogni tanto, sopraffatto dall’emozione di parlare in pubblico, sei colto da un “vuoto di memoria”, l’aver utilizzato delle pause in precedenza ti aiuterà a camuffare meglio la pausa forzata dovuta alla temporanea mancanza di parole…
 

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    Chiara Moletta, classe 1985, dottore magistrale in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali e specialista in tecniche e strategie di comunicazione efficace e assertiva applicate al Public Speaking.

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