In uno dei miei primi post, ho richiamato alla tua attenzione due fatti fondamentali: come parlare e comunicare siano due concetti molto diversi e come la comunicazione, per essere efficace, debba prevedere una forma di “risposta” (chiamata in gergo feedback)da parte dell’interlocutore.
Ora, se mentre parliamo non osserviamo il nostro pubblico, perderemo tutta la parte non verbale del feedback, il che è uno degli errori più gravi che uno speaker possa commettere.
Abbiamo appreso in altri post quanto il linguaggio non verbale, ossia il linguaggio del corpo, sia il più veritiero e affidabile. Questo, poiché è molto più facile mentire con le parole che non con lo sguardo, i gesti, la mimica facciale e la postura.
Ecco perché, se ci concentriamo interamente su noi stessi e non prestiamo attenzione ai segnali che ci arrivano dal pubblico, non sapremo mai se stiamo andando nella direzione giusta, e cioè se il pubblico ci sta prestando attenzione e se è d’accordo o meno con quanto stiamo dicendo.
In realtà ho detto una piccola bugia: non è vero che non sapremo mai cosa il pubblico pensa di noi e delle nostre parole, anzi, lo scopriremo eccome! Quando? Non appena qualcuno tra il pubblico ci interromperà bruscamente o, nei casi più fortunati, quando qualcuno alzerà la mano per farci una domanda.
Se ci è andata bene, e il pubblico ha condiviso quanto gli abbiamo detto, forse riusciremo a cavarcela, ma se dovessero arrivare delle critiche o delle obiezioni, potremmo trovarci seriamente in difficoltà, perché non siamo stati in grado di cogliere l’avvertimento che ci stava giungendo attraverso il linguaggio non verbale del pubblico.
Ora, la cosa più sbagliata che potremmo fare in un caso simile sarebbe applicare un ascolto selettivo, e cioè rispondere solo a domande e commenti neutrali o positivi, fingendo di non sentire, o ignorando apertamente tutte le critiche. Il pubblico sicuramente se ne risentirebbe, e noi avremmo così gettato un’ombra negativa su tutto il nostro discorso.
Un membro del pubblico che è stato lì ad ascoltarci per mezzora, o magari per ore, ha tutto il diritto di avere un piccolo spazio per chiedere dei chiarimenti o comunicare le proprie impressioni. Se questo spazio non gli viene concesso, se lo procurerà da solo, iniziando a parlare con il vicino di sedia per manifestargli i propri dubbi o il proprio disappunto, e finendo così, inevitabilmente, per distogliere l’attenzione dallo speaker.
Se anche decidesse di tenere i propri dubbi per sé, un pubblico che non ha avuto l’occasione di esprimersi se ne andrà comunque soddisfatto solo a metà, e noi non dobbiamo permetterlo.
Una volta chiarito questo punto, tuttavia, c’è ancora qualche errore da segnalare e che non dobbiamo commettere quando finalmente ci decidiamo a cedere la parola ai nostri interlocutori.
Il primo è quello di dedicare loro un ascolto presuntuoso. Molti oratori, infatti, hanno la pessima abitudine di ascoltare solo la metà di quanto si sta dicendo loro, presumendo erroneamente di aver già capito dove l’interlocutore vuole andare a parare. E cosa fanno questi furbacchioni? Interrompono l’interlocutore prima che abbia potuto terminare l’intervento, fornendo la risposta a una domanda che l’altro non ha ancora formulato e che, probabilmente, non voleva nemmeno formulare.
Un atteggiamento di questo tipo denota una grave mancanza di rispetto nei confronti del pubblico. Tuttavia, bisogna ammettere che in alcuni casi questo ascolto “scorretto” dell’oratore è favorito dall’incapacità del suo interlocutore di arrivare al nocciolo della questione. Se è questo il caso, lo speaker deve resistere alla tentazione di zittire l’altro ed aiutarlo invece a formulare la propria richiesta in modo più chiaro e diretto, attraverso delle semplici domande volte a chiarire il punto centrale dell’intervento. In altre parole, lo speaker deve aiutare il pubblico ad esprimere le proprie idee, non desumere di conoscerle già.
Il secondo grave errore che può commettere un oratore, è quello di riservare ai propri interlocutori un ascolto rituale, e cioè fingere di ascoltarli, magari facendo piccoli cenni di assenso con il capo o ripetendo dei brevi “sì, sì”, quando in realtà sta pensando ad altro. Al momento di controbattere, un oratore distratto non potrà far altro che limitarsi a ringraziare chi ha parlato per il suo intervento, dimostrando così di non avergli prestato ascolto. Ma come possiamo sperare che gli altri ci diano retta se siamo noi i primi a non fare attenzione quando qualcuno ci parla?
Un bravo speaker, dovrebbe considerare il dialogo con il pubblico come una parte integrante e fondamentale del proprio discorso, tanto più che, attraverso un ascolto attivo, attento e partecipe, l’oratore sarà in grado di gestire qualunque intervento della platea senza perdere, ma anzi acquistando, autorevolezza.
È meglio ammettere di non essere stati sufficientemente chiari e illustrare nuovamente un concetto, piuttosto che lasciare che il pubblico se ne vada portando con sé dei dubbi. È meglio chiedere il perché di una critica ed accoglierla (se costruttiva) piuttosto che ignorarla platealmente. È meglio ammettere di non saper rispondere a una domanda, e promettere di informarci al più presto per poter rimediare, piuttosto che fingere di non aver sentito o, peggio ancora, rispondere dicendo la prima fesseria che ci viene in mente.
Uno speaker competente non deve temere o evitare il confronto con il pubblico, perché il pubblico non è composto da esseri inferiori che non meritano la sua attenzione, né da esseri superiori da temere e rifuggire. I membri del pubblico sono suoi pari, sono nostri pari: persone cui possiamo insegnare qualcosa e da cui non finiremo mai di imparare.
Sei d’accordo con quanto affermato in questo post? Pensi anche tu che sia importante ascoltare ed essere ascoltati? Sei mai stato tentato di zittire qualcuno o ti è mai capitato di essere interrotto bruscamente da qualche Signor So-tutto-io? Se ti va, raccontami la tua esperienza lasciando un commento.